Normativa sulla caccia

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Proprietà privata e la caccia. La recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.

L’esercizio della caccia nei terreni privati, come disposto dalla legge 157/92 è vietato a determinate condizioni. Infatti la stessa all’art. 15 vieta la caccia nei terreni recintati e dove vi sono colture specializzate in atto, e conferisce un diritto ai proprietari di fondi di vietare l’attività venatoria se la richiesta è accolta nei termini previsti e se non ostacola la pianificazione faunistico venatoria. In tutti gli altri casi la caccia è concessa nei terreni altrui anche per il disposto dell’art. 842 del codice civile che prevede che il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia, a meno che il fondo non sia chiuso.

Tale situazione normativa si trova anche in altri stati europei e il ricorso di alcuni agricoltori francesi che volevano vietare la caccia nei loro fondi, è arrivato davanti alla Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, che, per la prima volta ha affermato che la caccia nei fondi altrui non recintati è una violazione del diritto di proprietà.

Tre agricoltori francesi, proprietari di meno di venti ettari che si trovano inclusi in un “ACCA” (ovvero in ambiti di caccia che vengono costituiti sia obbligatoriamente sia facoltativamente tramite consorzi), intendevano far escludere i loro terreni dalle zone di caccia. Per ottenere questo risultato, nel 1985, hanno apposto dei cartelli di divieto di caccia intorno al confine dei loro terreni e hanno cominciato contemporaneamente un’azione in via amministrativa e un’azione davanti al Prefetto, che è l’organo competente a decretare l’esclusione dei loro terreni dall’ambito di caccia (ACCA). Il giudice competente ingiunge loro di rimuovere i cartelli con i divieti e, nel 1987, il Prefetto rigetta la domanda dei tre coltivatori costringendoli a presentare ricorso davanti al Tribunale amministrativo di Bordeaux. Anche questo organo giudiziario rigetta nel 1988 la domanda dei tre ricorrenti.

Nel frattempo i tre proprietari hanno iniziato una azione civile innanzi al Tribunale di Grande Istanza, chiedendo alla Corte che venisse loro riconosciuto il diritto di non far parte di un “ACCA” e di poter apporre i cartelli sulla base di quanto previsto dal Codice Agrario francese che, all’art. 365, afferma che nessuno ha il diritto di cacciare nei terreni di proprietà altrui tranne nel caso in cui il proprietario acconsenta. La Corte dà loro ragione.

Gli ACCA si appellano e, nel 1991, la Corte di Appello di Bordeaux riforma totalmente la sentenza del Tribunale di Grande Istanza riconoscendo agli ACCA il diritto di mantenere i terreni dei tre agricoltori al loro interno, così come statuito dalla legge istitutiva degli ACCA, in deroga al citato articolo del Codice Agrario. La Corte di Cassazione conferma la sentenza di appello.
Esperiti tutti i gradi di giudizio nazionali, gli agricoltori sollevano la questione davanti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che nel 1996 avvia il procedimento contro il governo francese.

Il 29 aprile 1999, la Corte accoglie il ricorso degli agricoltori.

Nella sentenza, la Corte riconosce una palese violazione del diritto di proprietà ad opera della legge istitutiva degli ACCA, la legge Verdeille, in quanto la costituzione di un ACCA si realizza con il consenso della maggioranza dei proprietari dei terreni inclusi, pertanto i piccoli proprietari, come i ricorrenti, sono sottomessi alla decisione di coloro che detengono aree di maggiori dimensioni e vengono quindi danneggiati se contrari alla caccia.

Su questa base, per la prima volta, una Corte europea ha asserito il principio per cui la caccia nei fondi altrui non recintati si configura come violazione dell’assoluto diritto di proprietà, diritto di godere e disporre dei propri beni in modo pieno ed esclusivo, nel caso, limitato dall’esercizio dell’attività venatoria.

La Corte ha motivato questa decisione sostenendo che l’intervento pubblico deve sempre cercare di rispettare un giusto equilibrio tra la salvaguardia  di un fondamentale diritto dell’uomo, quale il diritto al rispetto dei propri beni, e l’interesse generale, mentre l’obbligo imposto ai proprietari di lasciar esercitare la caccia sui loro fondi, persino in contrasto con le proprie convinzioni etiche; è sproporzionato rispetto all’interesse perseguito.

V’è da aggiungere che la Corte ha disatteso anche un altro argomento sostenuto dal governo francese, secondo il quale, in base alla legge Verdeille, i proprietari potevano sottrarsi all’obbligo di lasciar entrare i cacciatori  nei loro fondi recintandoli adeguatamente.

La Corte ha infatti ritenuto che tale “scappatoia” non è ragionevole perché non sempre la recinzione di un fondo è tecnicamente realizzabile senza nuocere all’utilizzazione dei terreni per le finalità che sono loro proprie, e comunque comporta delle spese a volte molto ingenti per il proprietario.

La sentenza della Corte di Strasburgo ha portato alla luce la questione di legittimità costituzionale dell’art. 842 cod. civ. che dispone che “il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla L. 157/92 (legge sulla caccia)”.

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