Milano con Gaza, contro il massacro

Corteo Israele-Gaza

Sabato scorso si è tenuta a Milano una partecipata manifestazione contro il massacro di civili in corso a Gaza. Si è trattato, probabilmente, di uno dei cortei più massicci delle ultime settimane nel capoluogo lombardo. Ampia la partecipazione di palestinesi, di giovani, di arabi e maghrebini, molti dei quali italiani o nati in Italia. Si è vista una organizzazione da parte della Comunità palestinese della Lombardia come mai prima d’ora: da un furgone sono state distribuite bandiere, cartelli, immagini raccapriccianti dei bombardamenti stampate e plastificate.
Dai microfoni i rappresentanti e gli organizzatori della Comunità spiegavano le ragioni della protesta e lanciavano slogan. Molti giovani, si diceva: ragazzi e ragazze cresciuti o addirittura nati in Italia, con una nuova consapevolezza di popolo, di appartenenza, senza dogmi religiosi o odio atavico verso alcuno.
Un senso di consapevolezza che si era perso o che sembrava perso nella diaspora palestinese in Italia, rinsaldato, rinvigorito e ringiovanito, dalle tremende notizie e immagini del massacro deliberato di anziani, donne e bambini che giungono dalla più grande prigione a cielo aperto del mondo.
Un massacro compiuto con ferocia da una delle più strutturate potenze militari della terra. Una punizione collettiva che colpisce deliberatamente obiettivi e strutture civili, con odio e con l’intento di provocare il più alto numero di morti e di devastazione. Così, nei prossimi 5 anni i gazawi saranno impegnati nel piangere i propri cari uccisi dall’esercito israeliano e a ricostruire case, ospedali, scuole.
Molte scuole bombardate erano state costruite con fondi della Cooperazione italiana allo sviluppo e con i soldi dell’Unione Europea. Nessuno del Governo italiano o dell’Unione ha osato profferire parola, alzare una voce di protesta per quello scempio. La scuola di “Vento di Terra”, costruita con un piccolo aiuto anche del Comune di Rozzano e di ProAfrica, è stata rasa al suolo con i “cater pillar” dell’esercito israeliano (quindi, difficile pensare ad un “errore”). Chi la ricostruirà? Chi risarcirà i danni? E’ mai possibile che l’Italia abbia in essere un accordo militare e tecnologico con Israele e non abbia la dignità e il decoro di chiedere a Netanhjau il rispetto per le strutture per l’infanzia costruite con i fondi italiani?
Gli americani hanno accettato la richiesta di Israele di approvvigionarsi alle munizioni USA ammassate nei campus militari a stelle e strisce.
Gli americani fanno finta, come sempre, di chiedere a Israele il cessate il fuoco e poi gli regalano un miliardo per il sistema di difesa missilistica, buona parte dei fondi con i quali è costruito il muro dell’Apartheid in Cisgiordania e gli stessi proiettili e missili con i quali sono massacrati i civili nella gabbia di Gaza.
L’ipocrisia raggiunge limiti vergognosi. I palestinesi, dal canto loro, sono divisi su tutto, con capacità di comunicazione molto scarsa e con Hamas che imperversa nella striscia di Gaza, tentando di mostrare, ai fini del consenso interno, muscoli inesistenti e cercando di alzare la temperatura del conflitto, ignorando la disumana condizione che subiscono i civili di Gaza.
L’Autorità Nazionale di Abu Mazen non da tempo più alcuna autorità, non ottiene da Israele e USA null’altro che elemosina internazionale, con larghe sacche di corruzione e i veri leader palestinesi (come i Barghuti sono o nelle carceri israeliane o confinati a Ramallah).
Eppure, a dispetto della realtà sul territorio, che schiaccia i palestinesi tra l’incudine di Hamas e Jihad e il martello omicida di Israele, la diaspora palestinese si attrezza, cerca nuovi linguaggi, nuove alleanze (magari anche meno imbarazzanti rispetto al passato recente e lontano), studia e si organizza per resistere con le armi della non violenza (come dimostra Hamas con i suoi razzi, la violenza è controproducente, a maggior ragione se impiegata con chi è un milione di volte più forte e attrezzato.
Oltre 1700 morti civili palestinesi contro una sessantina di israeliani lo testimoniano.
Al corteo di Milano hanno sfilato tantissimi bambini, molte donne, velate e ragazze non velate che mostravano le foto dei propri cari feriti o uccisi dai missili e dalle bombe di Israele. Mi aspetterei che gli amici di Israele, in primis le Comunità ebraiche in giro per il mondo, facessero sentire con coraggio ed etica la propria voce di condanna del massacro in corso. Invece regna il silenzio. Un silenzio imbarazzante e complice.
Si difende Israele sempre e comunque, anche quando sbaglia. Ma questi non sono “amici”, sono propaggini politiche contigue e corree dello Stato e del Governo di ultra destra israeliano. Poche le voci dissonanti, come quella degli Ebrei Contro l’Occupazione, di cui facciamo parte anche mia moglie ed io e qualche intellettuale ebreo. Avvilente.
Se in Israele non esistono una società civile e una opinione pubblica davvero libere, bensì una società militarizzata a tutti i livelli, dalla scuola al servizio militare periodico perenne, ai media e alla radio militare che rappresentano le fonti “indipendenti” alle quali si abbeverano i miei colleghi giornalisti quando scrivono da Israele o da Gaza; la speranza può essere riposta nelle nuove generazioni della diaspora e nei pochi ragazzi israeliani che rifiutano la complicità con il massacro (i refusnik).
Purtroppo, proprio a loro mai e poi mai Israele concederà o riconoscerà il diritto al ritorno o il diritto di cittadinanza per idee e opinioni così controcorrente.
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